IL VETRO COME ESPERIENZA
Chiara Bertola, critica e curatrice
Lavorando con gli artisti, negli anni, ho vissuto diverse esperienze di produzione di opere in vetro: Mona Hatoum, Jimmie Durham, Remo Salvadori, Giuseppe Caccavale, Alice Cattaneo, etc..
Per me e’ stato importante capire che il vetro andava considerato non solo come materia ma anche come dispositivo visivo, uno strumento ottico che aiutava a vedere qualcosa d’altro.
L’incontro con il vetro, impone di affrontare con adeguata radicalità una serie d’interrogativi: non soltanto dove sono i confini del vetro ma anche che cosa significa guardare “attraverso”, oltre, e finalmente vedere. Può essere utile richiamare Paul Valéry, quando dice di guardare una forma semplice di vetro (un bicchiere nel suo caso) con sguardo “straniero”, cercando di andare al di là e di vedere più cose di quelle che conosciamo. Ma la cosa fondamentale è che al vetro, semplicemente, non va sottratta l’anima: per vedere il vetro non bastano gli occhi, perché vedere è anche sentire, ascoltare, pensare, immaginare.
Il vetro ha mille facce, ma una sola anima, sempre la stessa: silice, carbonato di sodio e carbonato di calcio. Queste sono le materie prime che rendono il vetro quel materiale trasparente, ecologico e potenzialmente infinito che noi conosciamo. Ma nessuno di questi elementi contiene in sé le caratteristiche peculiari del vetro, ed è proprio in ciò che risiede l’unicità di questo materiale. Trasparenza, compattezza e omogeneità della struttura, totale inerzia chimica e biologica, impermeabilità ai liquidi, ai gas, ai vapori e ai microrganismi, inalterabilità nel tempo, perfetta compatibilità ecologica sono le sue eccezionali caratteristiche intrinseche. Gli artisti aggiungono tutto quello che riusciamo a vedere oltre.
Venezia, gli oggetti, il lavoro e il turismo era il titolo del progetto site specific di Jimmie Durham per la Fondazione Querini Stampalia durante la Biennale del 2015, un progetto incentrato sulle materie di cui è costituita Venezia: pietra, legno, ferro, vetro, acqua, oro, tessuto. In alcune sculture in mostra, l’artista ha affidato a pezzi di vetro, ricostruiti o riassemblati, una critica ironica e nello stesso tempo feroce, della grande festa consumistica. il progetto di Jimmie Durham mi ha insegnato che gli oggetti e le materie raccontano storie che ci dicono chi siamo; che per ogni mano che le ha forgiate, levigate, scolpite, costruite c’è almeno la storia di una comunità. Un esempio di come il vetro possa essere considerato non una materia ma una condizione….
COMUNICARE IL VETRO AL MONDO DELL’ ARTE CONTEMPORANEA
Elena Casadoro e Francesca Fungher
CASADOROFUNGHER Comunicazione - agenzia specializzata in progetti di consulenza per l'arte contemporanea
Come si comunica il vetro oggi? Quali sono gli spazi disponibili, e come viene recepito dai media e dai giornalisti che abitualmente trattano arte contemporanea? Un dialogo a partire dalle esperienze de LE STANZE DEL VETRO, progetto espositivo e di ricerca sull'isola di San Giorgio Maggiore, e di The Venice Glass Week, festival internazionale del vetro a settembre alla sua seconda edizione, fra punti di contatto e contraddizioni "g-local".
FRA REALISMO E UTOPIA
Riccardo Caldura, docente di fenomenologia delle arti contemporanee all'Accademia di Belle Arti di Venezia
I linguaggi artistici contemporanei quando incontrano l’ambito delle cosiddette arti applicate sono chiamati a confrontarsi con le specificità delle diverse modalità di realizzazione di un’idea, di un progetto, affinché questi assumano concretezza. Vi è però una sorta di resistenza dei materiali e delle tecniche rispetto alle esigenze dell’artista, il quale risponde innanzitutto ad una ideazione che nasce ‘senza compromessi’ e vocata piuttosto a mettere in luce quanto viene intimamente avvertito come coerente e confacente ad una propria visione della forma. L’immaterialità di questa visione tende a proiettare il processo artistico su un piano diverso da quello dell’effettiva realizzabilità, facendo prevalere piuttosto una linea poetica rispetto ad una linea effettivamente poietica, cioè produttiva. Si tratta di due linee che non sempre combaciano, e per ottenere la loro coincidenza all’artista è richiesto di flettere la prima linea, quella della intuizione poetica, alle esigenze della seconda. L’intuizione poetica è immateriale, la sua realizzabilità evidentemente no. La tensione che si genera fra queste due linee potrebbe essere intesa, all’interno del processo di produzione artistica, come un confronto, non di rado un conflitto, fra la via del realismo - da intendersi come il venire a patti con la specificità delle ‘applicazioni’ tecniche e materiali lungo il percorso della realizzabilità – e la via dell’ utopia, cioè l’esigenza di dirigersi comunque innanzi, verso un approdo non ancora definito ma che si intravede, forzando l’applicabilità e le materie verso il punto intravisto. I diversi progetti che qui si presentano di Allegri, Cinquini, Contin, Sambini, Vendramel presentano tutti, anche se in misura diversa l’uno dall’altro, la complessità dei percorsi individuali lungo le due linee a cui si accennava, in particolare, come in questo caso, quando la precondizione del lavoro artistico eventualmente realizzabile è l’accettare il rapporto con una grande tradizione dell’arte applicata quale è quella del vetro.
ABBIAMO BISOGNO DI MAPPE NON ORDINARIE
Daniele Capra, curatore indipendente e giornalista
Per la sua capacità di prelevare un campione di realtà e oggettualizzarlo in forma fisica (sia essa concreta o elettronica), siamo soliti considerare la fotografia documentale come un’imprescindibile strumento di mappatura di un luogo. Ogni scatto un prelievo, una provetta da riempire con il nostro materiale antropologico. Ugualmente, con logica geometrico-cartesiana affidiamo alle mappe geografiche – che indagano cioè lo spazio attorno a noi – l’incarico di rappresentare il nostro mondo: mappe tanto precise poiché servono ai commerci, agli eserciti, agli ingegneri.
Eppure tali mappature logico-razionali, pregnanti e ricche di dati portatori di un significato ben determinato, sono prive di un elemento centrale: mancano dell’uomo quando non lo si consideri quale homo oeconomicus, ma ad esempio si voglia parlare di chi è intimamente, delle idee che ha sulla comunità cui partecipa o che aspettative rivendica per il futuro, degli strumenti che egli ha per rappresentare se stesso ed il proprio mondo. Queste analisi, particolari, incomplete, non sempre rappresentative, non sempre perfettamente precise, spettano ad altre discipline, con meno dati dettagliati, ma forse più capaci di intercettare dinamiche umane che sfuggono agli schematismi interpretativi.
I lavori sul luogo come spazio di lavoro, sulla contaminazione, il ripensamento, il restauro, l’identità e la partecipazione proposti da Adalberto Abbate, Daniela Bacigalupo, Patrizia Giambi, Francesco Nordio, Luigi Viola vanno in questa direzione. Sono mappature non ortogonali di un luogo, di un sistema di relazioni, della storia di quella comunità che li vive e che, forse, ha bisogno solo di spazi di respiro, di evasione, per proiettarsi oltre le secche del presente.
L’ARTE CONTEMPORANEA E LA COSTRUZIONE DI NUOVE COMUNITÀ
Annalisa Cattani, artista e curatrice, docente di marketing e nuovi media all’Università di Ferrara
L’arte contemporanea è in grado di costruire, attraverso diverse prospettive visuali, nuove comunità, o di rigenerare comunità preesistenti. Il tipico approccio contemplativo dell’arte è stato sostituito dalla partecipazione, arricchendo entrambi i processi di USG (contenuti generati dagli utenti).
Questi progetti sono duraturi, esperienziali e dialogici, per questo motivo mi sento di affermare che l’estetica tradizionale basata sulla contemplazione degli oggetti e sull’analisi delle rappresentazione, non è in grado di spiegare adeguatamente ciò che riguarda un’estetica della co-creazione.
Con questo intervento proveremo a vedere come progetti simili, nell’ambito della pubblicità e dell’arte, abbiano differenti percorsi argomentativi. Allo stesso tempo proveremo a capire se questi processi, anche grazie all’uso dei social media, sono in grado di fondare nuovi “luoghi specifici della visione” e “luoghi specifici della multimodalità”, che possano mostrare la realtà da diverse prospettive.
Focalizzeremo l’attenzione anche sulla nozione di Persona versus “Personas”, il nuovo interlocutore dei moderni contenuti del marketing, che abbandona il concetto di “target” in favore di un nuovo interlocutore, più umano per quanto sempre fittizio, più vicino alla nozione di spettatore che a quella di cliente.
MURANO LAB: UN FUTURO PER LA LAGUNA DI VENEZIA
Tiberio Scozzafava-Jaeger, pianificatore territoriale
Murano Lab è un laboratorio per sperimentare progetti multidisciplinari all’insegna della sostenibilità. Si regge su cinque pilastri che sono Economia, Cultura, Ambiente, Sociale ed Energia. Lo scopo è creare un archetipo per risolvere le sfide del mondo moderno, con l’isola come delimitato terreno fertile per testare sul campo possibili soluzioni, che sappiano coniugare tecnologia ed ecologia, sviluppo e tradizione.
Murano Lab punta a ristabilire e mantenere l’equilibrio dell’ambiente lagunare nel rispetto della sua eccezionale doppia qualità di patrimonio UNESCO dell’umanità culturale e naturale. Con uno strumento urbanistico funzionale e contratti di investimento, vuole ricreare un habitat che consenta il ripopolamento dell’isola tramite la creazione di nuovi posti di lavoro, l’offerta di maggiori servizi ai residenti e lo sviluppo di innovazioni a tutto campo che migliorino la qualità della vita.
Murano Lab nasce come associazione e mira alla creazione di una fondazione.
Chiara Bertola, critica e curatrice
Lavorando con gli artisti, negli anni, ho vissuto diverse esperienze di produzione di opere in vetro: Mona Hatoum, Jimmie Durham, Remo Salvadori, Giuseppe Caccavale, Alice Cattaneo, etc..
Per me e’ stato importante capire che il vetro andava considerato non solo come materia ma anche come dispositivo visivo, uno strumento ottico che aiutava a vedere qualcosa d’altro.
L’incontro con il vetro, impone di affrontare con adeguata radicalità una serie d’interrogativi: non soltanto dove sono i confini del vetro ma anche che cosa significa guardare “attraverso”, oltre, e finalmente vedere. Può essere utile richiamare Paul Valéry, quando dice di guardare una forma semplice di vetro (un bicchiere nel suo caso) con sguardo “straniero”, cercando di andare al di là e di vedere più cose di quelle che conosciamo. Ma la cosa fondamentale è che al vetro, semplicemente, non va sottratta l’anima: per vedere il vetro non bastano gli occhi, perché vedere è anche sentire, ascoltare, pensare, immaginare.
Il vetro ha mille facce, ma una sola anima, sempre la stessa: silice, carbonato di sodio e carbonato di calcio. Queste sono le materie prime che rendono il vetro quel materiale trasparente, ecologico e potenzialmente infinito che noi conosciamo. Ma nessuno di questi elementi contiene in sé le caratteristiche peculiari del vetro, ed è proprio in ciò che risiede l’unicità di questo materiale. Trasparenza, compattezza e omogeneità della struttura, totale inerzia chimica e biologica, impermeabilità ai liquidi, ai gas, ai vapori e ai microrganismi, inalterabilità nel tempo, perfetta compatibilità ecologica sono le sue eccezionali caratteristiche intrinseche. Gli artisti aggiungono tutto quello che riusciamo a vedere oltre.
Venezia, gli oggetti, il lavoro e il turismo era il titolo del progetto site specific di Jimmie Durham per la Fondazione Querini Stampalia durante la Biennale del 2015, un progetto incentrato sulle materie di cui è costituita Venezia: pietra, legno, ferro, vetro, acqua, oro, tessuto. In alcune sculture in mostra, l’artista ha affidato a pezzi di vetro, ricostruiti o riassemblati, una critica ironica e nello stesso tempo feroce, della grande festa consumistica. il progetto di Jimmie Durham mi ha insegnato che gli oggetti e le materie raccontano storie che ci dicono chi siamo; che per ogni mano che le ha forgiate, levigate, scolpite, costruite c’è almeno la storia di una comunità. Un esempio di come il vetro possa essere considerato non una materia ma una condizione….
COMUNICARE IL VETRO AL MONDO DELL’ ARTE CONTEMPORANEA
Elena Casadoro e Francesca Fungher
CASADOROFUNGHER Comunicazione - agenzia specializzata in progetti di consulenza per l'arte contemporanea
Come si comunica il vetro oggi? Quali sono gli spazi disponibili, e come viene recepito dai media e dai giornalisti che abitualmente trattano arte contemporanea? Un dialogo a partire dalle esperienze de LE STANZE DEL VETRO, progetto espositivo e di ricerca sull'isola di San Giorgio Maggiore, e di The Venice Glass Week, festival internazionale del vetro a settembre alla sua seconda edizione, fra punti di contatto e contraddizioni "g-local".
FRA REALISMO E UTOPIA
Riccardo Caldura, docente di fenomenologia delle arti contemporanee all'Accademia di Belle Arti di Venezia
I linguaggi artistici contemporanei quando incontrano l’ambito delle cosiddette arti applicate sono chiamati a confrontarsi con le specificità delle diverse modalità di realizzazione di un’idea, di un progetto, affinché questi assumano concretezza. Vi è però una sorta di resistenza dei materiali e delle tecniche rispetto alle esigenze dell’artista, il quale risponde innanzitutto ad una ideazione che nasce ‘senza compromessi’ e vocata piuttosto a mettere in luce quanto viene intimamente avvertito come coerente e confacente ad una propria visione della forma. L’immaterialità di questa visione tende a proiettare il processo artistico su un piano diverso da quello dell’effettiva realizzabilità, facendo prevalere piuttosto una linea poetica rispetto ad una linea effettivamente poietica, cioè produttiva. Si tratta di due linee che non sempre combaciano, e per ottenere la loro coincidenza all’artista è richiesto di flettere la prima linea, quella della intuizione poetica, alle esigenze della seconda. L’intuizione poetica è immateriale, la sua realizzabilità evidentemente no. La tensione che si genera fra queste due linee potrebbe essere intesa, all’interno del processo di produzione artistica, come un confronto, non di rado un conflitto, fra la via del realismo - da intendersi come il venire a patti con la specificità delle ‘applicazioni’ tecniche e materiali lungo il percorso della realizzabilità – e la via dell’ utopia, cioè l’esigenza di dirigersi comunque innanzi, verso un approdo non ancora definito ma che si intravede, forzando l’applicabilità e le materie verso il punto intravisto. I diversi progetti che qui si presentano di Allegri, Cinquini, Contin, Sambini, Vendramel presentano tutti, anche se in misura diversa l’uno dall’altro, la complessità dei percorsi individuali lungo le due linee a cui si accennava, in particolare, come in questo caso, quando la precondizione del lavoro artistico eventualmente realizzabile è l’accettare il rapporto con una grande tradizione dell’arte applicata quale è quella del vetro.
ABBIAMO BISOGNO DI MAPPE NON ORDINARIE
Daniele Capra, curatore indipendente e giornalista
Per la sua capacità di prelevare un campione di realtà e oggettualizzarlo in forma fisica (sia essa concreta o elettronica), siamo soliti considerare la fotografia documentale come un’imprescindibile strumento di mappatura di un luogo. Ogni scatto un prelievo, una provetta da riempire con il nostro materiale antropologico. Ugualmente, con logica geometrico-cartesiana affidiamo alle mappe geografiche – che indagano cioè lo spazio attorno a noi – l’incarico di rappresentare il nostro mondo: mappe tanto precise poiché servono ai commerci, agli eserciti, agli ingegneri.
Eppure tali mappature logico-razionali, pregnanti e ricche di dati portatori di un significato ben determinato, sono prive di un elemento centrale: mancano dell’uomo quando non lo si consideri quale homo oeconomicus, ma ad esempio si voglia parlare di chi è intimamente, delle idee che ha sulla comunità cui partecipa o che aspettative rivendica per il futuro, degli strumenti che egli ha per rappresentare se stesso ed il proprio mondo. Queste analisi, particolari, incomplete, non sempre rappresentative, non sempre perfettamente precise, spettano ad altre discipline, con meno dati dettagliati, ma forse più capaci di intercettare dinamiche umane che sfuggono agli schematismi interpretativi.
I lavori sul luogo come spazio di lavoro, sulla contaminazione, il ripensamento, il restauro, l’identità e la partecipazione proposti da Adalberto Abbate, Daniela Bacigalupo, Patrizia Giambi, Francesco Nordio, Luigi Viola vanno in questa direzione. Sono mappature non ortogonali di un luogo, di un sistema di relazioni, della storia di quella comunità che li vive e che, forse, ha bisogno solo di spazi di respiro, di evasione, per proiettarsi oltre le secche del presente.
L’ARTE CONTEMPORANEA E LA COSTRUZIONE DI NUOVE COMUNITÀ
Annalisa Cattani, artista e curatrice, docente di marketing e nuovi media all’Università di Ferrara
L’arte contemporanea è in grado di costruire, attraverso diverse prospettive visuali, nuove comunità, o di rigenerare comunità preesistenti. Il tipico approccio contemplativo dell’arte è stato sostituito dalla partecipazione, arricchendo entrambi i processi di USG (contenuti generati dagli utenti).
Questi progetti sono duraturi, esperienziali e dialogici, per questo motivo mi sento di affermare che l’estetica tradizionale basata sulla contemplazione degli oggetti e sull’analisi delle rappresentazione, non è in grado di spiegare adeguatamente ciò che riguarda un’estetica della co-creazione.
Con questo intervento proveremo a vedere come progetti simili, nell’ambito della pubblicità e dell’arte, abbiano differenti percorsi argomentativi. Allo stesso tempo proveremo a capire se questi processi, anche grazie all’uso dei social media, sono in grado di fondare nuovi “luoghi specifici della visione” e “luoghi specifici della multimodalità”, che possano mostrare la realtà da diverse prospettive.
Focalizzeremo l’attenzione anche sulla nozione di Persona versus “Personas”, il nuovo interlocutore dei moderni contenuti del marketing, che abbandona il concetto di “target” in favore di un nuovo interlocutore, più umano per quanto sempre fittizio, più vicino alla nozione di spettatore che a quella di cliente.
MURANO LAB: UN FUTURO PER LA LAGUNA DI VENEZIA
Tiberio Scozzafava-Jaeger, pianificatore territoriale
Murano Lab è un laboratorio per sperimentare progetti multidisciplinari all’insegna della sostenibilità. Si regge su cinque pilastri che sono Economia, Cultura, Ambiente, Sociale ed Energia. Lo scopo è creare un archetipo per risolvere le sfide del mondo moderno, con l’isola come delimitato terreno fertile per testare sul campo possibili soluzioni, che sappiano coniugare tecnologia ed ecologia, sviluppo e tradizione.
Murano Lab punta a ristabilire e mantenere l’equilibrio dell’ambiente lagunare nel rispetto della sua eccezionale doppia qualità di patrimonio UNESCO dell’umanità culturale e naturale. Con uno strumento urbanistico funzionale e contratti di investimento, vuole ricreare un habitat che consenta il ripopolamento dell’isola tramite la creazione di nuovi posti di lavoro, l’offerta di maggiori servizi ai residenti e lo sviluppo di innovazioni a tutto campo che migliorino la qualità della vita.
Murano Lab nasce come associazione e mira alla creazione di una fondazione.